domenica 19 agosto 2012

I fratelli d’Egitto attuano un colpo di stato preventivo


Melkulangara Bhadrakumar, Strategic Culture Foundation
Il presidente egiziano Mohammed Morsi ha fatto l’impensabile – affermando la supremazia civile su quella militare. Questo è stato un atto che doveva andare ben oltre le capacità della Fratellanza musulmana per un colpo come questo. Qualcosa è accaduto. Sei decenni di storia politica dell’Egitto sono stati chiusi. Ma questo è più di una svolta nella storia. Paesi vicini e lontani – Stati Uniti, Israele, Iran e Arabia Saudita, in particolare – ne terranno conto.
C’è silenzio nell’aria. A dire il vero, gli Stati Uniti e Israele sono traumatizzati. Israele, che non è mai a corto di parole, è senza parole. La cacciata del maresciallo Mohammed Tantawi, ministro della difesa dell’Egitto, rimuove il numero uno degli interlocutori-collaboratori degli Stati Uniti nel calcolo del potere a Cairo. Washington sembra aver completamente frainteso il panorama politico egiziano. Non più tardi di due settimane fa, il segretario alla difesa statunitense Leon Panetta aveva visitato Cairo ed espresso il suo convincimento che Tantawi e Morsi se la cavavano bene. In un commento che lo perseguiterà, oggi, Panetta aveva detto: “A mio avviso, in base a quello che ho visto [a Cairo], il presidente Morsi e il feldmaresciallo Tantawi hanno un rapporto molto buono e collaborano agli stessi obiettivi”. Ciò che Panetta diceva, era che gli interessi degli Stati Uniti a Cairo erano al sicuro, non importava la transizione democratica dell’Egitto e l’ascesa dei Fratelli musulmani, a condizione che Tantawi fosse al comando. L’autorevole opinionista del Washington Post, David Ignatius, che è collegato alla dirigenza degli Stati Uniti, ha riassunto l’acutezza del dilemma attuale dell’amministrazione statunitense:
“Ciò che è indiscutibile è che i Fratelli musulmani, di cui Morsi è membro da tempo, ha rafforzato la sua presa sull’Egitto, controllando i militari, nonché la presidenza e il parlamento. Questo è un esempio di democrazia in azione e di controllo civile delle forze armate, o un colpo di stato dei Fratelli musulmani, a seconda del vostro punto di vista. Probabilmente è entrambe le cose”. Ignatius ha aggiunto, “la mossa di Morsi è avvenuta con la repentinità di un colpo di stato”. Evidentemente, vi è stato un fallimento dell’intelligence a Washington. La prima reazione della Casa Bianca è stata di rassegnazione. “E’ importante che l’esercito egiziano e i civili (il governo) lavorino a stretto contatto per affrontare la sfida economica e di sicurezza che affronta l’Egitto”, ha detto ai giornalisti il capo ufficio stampa della Casa Bianca, Jay Carney. “Ci auguriamo che l’annuncio del Presidente Morsi servirà gli interessi del popolo egiziano … e continueremo a lavorare con i leader civili e militari in Egitto, per far avanzare i molti nostri interessi comuni.”
Gli Stati Uniti capiscono che non è in loro potere sovvertire quanto è successo. Gli eventi di domenica testimoniano il drammatico declino dell’influenza degli Stati Uniti in Egitto, lo scorso anno. Ma Washington ha rapidamente risposto sostenendo che il nuovo ministro della Difesa, Abdel Fattah al-Sissi, nominato da Morsi, è una ‘nota’ figura che ha partecipato all’addestramento in un istituto militare degli Stati Uniti, circa tre decenni fa. Questo para il vero problema. Il cuore della questione è che la mossa di Morsi va ben al di là della questione dei nuovi volti militari. Ha anche annullato la dichiarazione costituzionale volta a contenere i poteri presidenziali e gli ha dato i poteri militari legislativi e altre prerogative. Ha modificato la costituzione ad interim negando all’esercito qualsiasi ruolo nella definizione delle politiche pubbliche, del bilancio e qualsiasi ruolo nella scelta di una assemblea costituente per redigere la nuova costituzione. Questo è a dir poco la presa, da parte dei Fratelli musulmani, delle leve del potere.
Chiaramente, Morsi ha agito secondo la decisione collettiva della leadership dei Fratelli musulmani. Si tratta di una decisione ben ponderata e le sue ramificazioni nella futura traiettoria delle politiche egiziane resta da vedere. Ignatius riassume, “Gli israeliani hanno detto di essere più preoccupati per la purga di domenica, preoccupati da Morsi che sta prendendo una serie di passi che possono portare verso una collisione con Gerusalemme. Ma per gli Stati Uniti e Israele, osservare gli sviluppi in Egitto è un po come andare a cavallo di una tigre, potenzialmente molto pericolosa e impossibile da governare”.
Ciò che gli Stati Uniti (e Israele) devono soppesare con attenzione in questo momento, è la connessione tra l’attentato terroristico in Sinai del 5 agosto, e la decisione di Morsi di frustare i militari. Il punto è se ci sia una connessione.
Una sceneggiatura hollywoodiana
In effetti, Washington ha rapidamente fatto seguito all’attacco terroristico del Sinai, offrendo ai militari egiziani un pacchetto di assistenza. Non prima che l’attacco terroristico avesse luogo, Israele si era anch’esso subito presentato come il miglior alleato che l’Egitto potrebbe mai pensare di avere in questi tempi pericolosi. Tuttavia, i Fratelli musulmani hanno volutamente ritenuto il Mossad israeliano responsabile della gestione dell’attacco in Sinai. Significativamente, il primo importante cambiamento di Morsi, che ha fatto seguito al misterioso attacco terroristico in Sinai del 5 agosto, è stato il licenziamento del capo dei servizi segreti, il generale Murad Muwafi, ampiamente ritenuto il singolo ‘asset strategico’ più importante degli Stati Uniti (e d’Israele) nella direzione della sicurezza egiziana.
In poche parole, i Fratelli sono diffidenti nei confronti dei tentativi degli Stati Uniti di portare il terrorismo al centro della scena del discorso egiziano, in questo frangente, quando Morsi deve ancora consolidare la sua presa sulla struttura di potere. I Fratelli sanno che se il centro si sposta sulla ‘guerra al terrorismo’, ciò inevitabilmente spingerà Cairo a ricercare la cooperazione nella sicurezza con Washington (e Tel Aviv), un’eventualità che danneggerebbe Morsi erodendone la base politica. Inoltre, ci sarebbe anche un programma che metterebbe ancor più i militari alla guida, e per molto tempo. In effetti, nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno spinto la questione. Il mese scorso, quando il segretario di stato statunitense Hillary Clinton e Panetta visitarono Cairo, chiesero che l’esercito egiziano agisse con fermezza contro i militanti che operano in Sinai. Washington contava sull’esercito egiziano per stringere ulteriormente i legami del paese con gli Stati Uniti, in una comune ‘guerra al terrore’ nel Sinai. Gli Stati Uniti hanno promesso maggiore assistenza nella sicurezza all’esercito egiziano.
Poco dopo la sua visita a Cairo, Clinton ha detto alla CNN: “Abbiamo degli americani nel Sinai. Abbiamo delle preoccupazioni per la loro sicurezza. Quindi questo non riguarda solo l’Egitto e Israele, si tratta anche degli Stati Uniti e degli altri membri di questa forza multinazionale. Perciò è nell’interesse di tutti lavorare insieme per fare in modo che la sicurezza sia vigente nel Sinai”. Vale a dire, Clinton implica che la presenza dei 700 soldati statunitensi nella forza internazionale di pace nel Sinai (con il trattato di Camp David) obbligato Washington ad intervenire per garantire che il governo Morsi non si discosti dalla politica perseguita da Hosni Mubarak verso il Sinai (implicando uno stretto coordinamento e cooperazione con Israele). Insomma, era un avvertimento a malapena dissimulato riguardo la ‘linea rossa’.
Si tratta di semplice buon senso, poiché il Sinai è una terra di nessuno senza legge, dove l’intelligence israeliana è molto attiva. Non sorprende che gli attacchi del 5 agosto abbiano sollevato una serie di domande per le quali non ci sono in realtà risposte facili. Gli attacchi hanno avuto luogo subito dopo che Morsi aveva ricevuto il capo di Hamas, Khaled Mashaal, e ordinato la progressiva eliminazione delle restrizioni al valico di Rafah, una parodia del blocco israeliano di Gaza. Ovviamente, la correzione politica di Morsi su Gaza e la sua bonomia verso la leadership di Hamas, fa suonare i campanelli d’allarme a Washington e Tel Aviv. Basti dire che Washington e Tel Aviv erano sempre più ottimiste, dopo le ultime visite a Cairo di Clinton e Panetta, verso la leadership militare egiziana, su cui potrebbero contare per un proseguimento degli orientamenti della politica estera dell’era Mubarak, nei confronti di Israele. Ma gli eventi di domenica hanno spazzato via questo ottimismo.
Chiaramente, a partire da domenica, la scommessa si ferma con Morsi. La realtà della situazione attuale è tale che solo la magistratura rimane al di fuori del controllo della presidenza egiziana. Né gli USA, né Israele, hanno un indizio su cosa pensino di fare i Fratelli nel prossimo periodo.
La ripubblicazione è gradita con riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/

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