La trilogia di Peter Jackson, record di Oscar e incassi, fa rivivere grazie a effetti speciali il romanzo di Tolkien
RAFFAELLA SILIPO - TORINO
Il potere della magia e la forza della spada, il fascino degli elfi e l’allegria degli hobbit, l’amicizia che unisce le razze, il coraggio nei momenti più cupi, l’amore che nasce dalla rinuncia, il Fato che tende i suoi fili. All’alba del nuovo millennio il cinema si risveglia in un mondo fantastico, quella Terra di Mezzo inventata negli Anni 40 da J.R.R. Tolkien dove si combatte la lotta definitiva tra Bene e Male e a vincere è il più piccolo degli eroi, l’unico capace di distruggere il potere invece di arraffarlo. Dopo anni di commedie e film realistici, di cronaca e impegno, western o thriller, la trilogia fantasy di Peter Jackson irrompe nelle sale sdoganando la favola e facendo man bassa di Oscar (17, gli unici non premiati sono stati gli interpreti) e di incassi, i più alti nella storia del cinema, se si considerano i tre episodi come un unico film, come in effetti è corretto, dato che sono stati girati contemporaneamente in Nuova Zelanda e sono usciti poi a scadenza annuale La compagnia dell’anello nel 2001 (in Italia gennaio 2002), Le due torri nel 2002 e nel 2003 Il ritorno del re.
Un successo planetario che coglie di sorpresa persino il produttore e la troupe, quasi convinti di aver evocato un potere non dissimile da quello racchiuso nel magico anello. Anche perché il romanzo da cui il film è tratto non era certo una novità: il professore di storia medioevale John Ronald Reuel Tolkien, uno che passava il tempo libero a dissezionare i miti greci e celtici, frequentando i fantasmi di Dioniso e Morgana, lo aveva scritto a più riprese tra il 1937 e il 1949 e pubblicato a metà Anni 50. Una classica saga fantasy, ambientata in un Medioevo immaginario, dove una compagnia composta tra gli altri dallo stregone Gandalf (nel film interpretato da Ian McKellen), dall’erede dei Re degli Uomini Aragorn (Viggo Mortensen), dall’elfo Legolas (Orlando Bloom), dal nano Gimli (John Rhys-Davies) e dal piccolo hobbit Frodo (Elijah Wood), tenta di distruggere il potente Anello del Potere, che renderebbe quasi invincibile il suo padrone Sauron se ritornasse nelle sue mani.
Una saga molto amata ma anche molto criticata, («Oh no, un altro fottuto elfo» avrebbe commentato l’amico Hugo Dyson durante una lettura pubblica) che si presta a varie interpretazioni, come dimostra il fatto che in Usa venne adottato dal movimento alternativo e pacifista degli Anni 60 mentre in Italia negli Anni 70 fu simbolo della gioventù di destra. Una storia, comunque, suggestiva e appassionante, ricca di personaggi forti e scenari esotici, inevitabile che il cinema ci mettesse sopra gli occhi: esiste addirittura un progetto dei Beatles per realizzare una versione di Il Signore degli Anelli, bloccato da Tolkien in persona. Anche Stanley Kubrick aveva fatto un pensierino alla trilogia, poi scartata perché troppo «vasta».
A metà Anni 70, il regista britannico John Boorman e il produttore Saul Zaentz abbordano il progetto e poi lo abbandonano perché troppo costoso; Boorman sfrutta comunque i suoi appunti per girare Excalibur e Zaentz realizza un adattamento a cartoni animati di La Compagnia dell’Anello e la prima parte di Le due Torri diretto da Ralph Bakshi; il risultato, però, per problemi di budget e tempo, non è granché e Bakshi non riuscirà mai a completare la storia. Il peccato originale è che il cartone è rivolto a un pubblico infantile, lasciando scontenta la maggior parte dei fan adulti. Questi fallimenti scoraggiano registi e case di produzione, che non ripropongono più l’idea, giudicata impossibile da portare sullo schermo, a causa dell’enorme quantità di finanziamenti e di effetti speciali necessari, senza contare il fatto che l’interesse per il fantasy è nel frattempo molto diminuito.
Solo a metà Anni 90, grazie agli enormi passi avanti fatti dalla tecnologia, che permette di riprodurre sullo schermo mondi immaginari e creature fantastiche come certo non era possibile in passato, la Miramax Films sviluppa un grandioso progetto con Peter Jackson, poi rilevato dalla New Line Cinema con effetti sviluppati da Weta Digital e Weta Workshop, fondate da Jackson stesso, che vi consacra una decina d’anni di vita.
Dopo il successo del film (e l’anno prossimo arriverà il prequel, Lo Hobbit, con lo stesso cast) il fantasy non si è più fermato: il genere che qualche anno fa non interessava nessuno (ricordate Woody Allen che in Io e Annie consigliava Diane Keaton: «Non prendere corsi in cui ti fanno leggere Beowulf»?) adesso ha praticamente sostituito tutti i tipi di narrativa per giovani e invaso le sale cinematografiche. In quella confusa Terra di Mezzo tra miti celtici e supereroi dei fumetti, angeli, demoni e vampiri, poemi medievali e manga giapponesi è nascosto il tesoro del nuovo business dell’immaginario mondiale. Libri e film, certo, ma anche videogiochi, affollati siti Internet e raduni dove tra stand medioevali e astronavi aliene si accalcano giovanissimi adepti vestiti da maghi, cavalieri o falconieri. Una sterminata tribù, più numerosa degli elfi e degli hobbit, che si appassiona all’eterna lotta del bene contro il male. «Oggi la cronaca propone scopi così meschini, l’immagine, la ricchezza - riflette la giovane scrittrice fantasy Licia Troisi -. Eppure nascosta dentro di noi rimane una fame di ideali nobili, di imprese epiche. Il fantasy non ha paura di essere semplice, di raccontare gli archetipi, di parlare di amore, odio, eroismo». Ci pensa l’industria a trasformare l’epica in business.
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