venerdì 17 agosto 2012

In mostra al CLUI. Le immagini dei depositi di rifiuti d'uranio in America


di Katya Tilevich - Domus

A Los Angeles i pomeriggi sono quasi sempre soleggiati, il che vuol dire che i pomeriggi sono quasi sempre in stridente contrasto con la mostra attualmente aperta al CLUI Center for Land Use Interpretation.

La mostra, intitolata Perpetual Architecture: Uranium Disposal Cells of America ("Architettura perpetua: i depositi di rifiuti d'uranio in America), si distingue nettamente dal suo luminoso contesto, sia dal punto di vista visivo come da quello concettuale.

All'interno del piccolo spazio espositivo, uno scintillante nastro d'immagini a cristalli liquidi avvolge l'ambiente lungo le pareti: immagini in bianco e nero di vari depositi di rifiuti d'uranio, tutti nel Sudovest americano. Testi a caratteri bianchi su fondo nero – espressioni come roccia liscia e fucile – lampeggiano a intermittenza sugli schermi, alternandosi alle immagini. Occorre un istante per mettere fuoco lo sguardo, ma ci vuole di più per far altrettanto con il pensiero.

Di sicuro non è immediatamente evidente di che cosa si stia parlando. Che cosa sono gli spazi raffigurati? Industriali, minacciosi, isolati: le immagini sembrano fotografie aeree militari, come fotogrammi tratti da Stalker, o forse fosse comuni.

Perpetual Architecture, che lascia accuratamente il "lavoro editoriale" al visitatore, è una mostra nitida.

Le poche parole che offre suonano spoglie come le immagini. Un breve testo introduttivo accompagna le immagini, per esempio, descrivendo i depositi come "tombe per i resti degli impianti di lavorazione e degli scarti dell'uranio, pigiati con il bulldozer in contenitori appositamente studiati per limitarne il contatto con l'ambiente circostante per migliaia di anni".

Più oltre la cruda conclusione del testo suona come il meglio della poesia contemporanea: "Grandi fino a 1.300 metri quadrati, assomigliano a piramidi, a ziqqurat o a ruderi di una cultura di costruttori di tumuli geometrici. Come le antiche tombe egizie, sono fatti per tagliare i collegamenti con il mondo contemporaneo, conservandosi inerti e intatti per la maggior parte possibile dell'eternità. Sono non-luoghi: isolati dal presente, progettati e destinati al futuro".

Per orientare il visitatore tra questi non-luoghi la mostra comprende anche una mappa interattiva su touchscreen, che elenca i nomi dei depositi di rifiuti d'uranio che punteggiano gli Stati Uniti. Il quartetto di Utah, Colorado, Arizona e New Mexico richiede un ulteriore pannello esplicativo per illustrarne tutti i depositi, tra cui quelli battezzati "Il sombrero", "Acque azzurre" e "Lago d'Ambrosia".


Fuori dal contesto la mappa e il suo profluvio di destinazioni che suonano innocue, perfino attraenti, può sembrare un diagramma di ambite mete naturali americane o di luoghi di vacanza per alieni… se non si venisse colti di sorpresa (o forse sconcertati) da quello cui veramente ci si trova di fronte qui.

Basta per esempio cliccare su "Città delle cascate" per arrivare a un'immagine che pare una tomba.

Dice la didascalia: "In questo tumulo, a 65 chilometri da San Antonio, sono stati accumulati nel 1994 i resti di un impianto per la lavorazione dell'uranio e i relativi scarti radioattivi […] In oltre mezzo chilometro quadrato di depositi ci sono più di 6 milioni di tonnellate di materiali contaminati, per un'altezza di 19 metri e una lunghezza di 792. Benché i bordi del tumulo siano ricoperti di pietrisco antierosione, la sommità piatta del tumulo è coperta con una strato di 75 centimetri di terreno di coltura con 15 centimetri di terriccio per consentire all'erba di crescere, per restituire l'umidità all'atmosfera attraverso l'evapotraspirazione".

Perpetual Architecture non è affatto una collezione di striscioni di protesta. La mostra non prende posizione e solleva problemi senza far chiasso. Non si parla di rischi sanitari né di statistiche ecologiche. È una mostra che va al di là della nostra attuale esistenza fisica per guardare "al massimo possibile di eternità". Quel che offre non è un omaggio all'architettura e all'ingegneria di queste immense periferie, ma un senso di timore, la coscienza della forza tremenda ostentata (o piuttosto sepolta) da questi spazi.

E, per esempio, un discorso su questi depositi appare particolarmente pertinente oggi, sull'onda di Fukushima; ma ciò che la mostra pare suggerire è che l'argomento è sempre "sull'onda" di qualcosa. O forse al culmine. La prospettiva del futuro abbracciata da questa mostra si estende ben più in là delle pile di giornali di oggi. E nel suo riferimento alle antiche tombe egizie la mostra indica quanto più in là.



(17 agosto 2012)

Foto: Domusweb

Fonte: http://www.domusweb.it/it/architecture/architettura-perpetua/
http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione/8707-architettura-perpetua.html

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